La cucina di Gaeta

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Bruno Di Ciaccio
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PREFAZIONE

Già da qualche tempo la cucina e diventata uno dei miei hobby preferiti, ma solo quest'estate, anche per l'insistenza di alcuni amici frequentatori del web (in primis Peppe Lollo “Elvis", poi purtroppo prematuramente scomparso), ho pro- vato a mettere nero su bianco, cosa ahime per me molto faticosa. Ho iniziato per puro divertimento, buttando giù qualche pagina utilizzabile soltanto per vivaciz- zare le serate con gli amici. Scrivevo in maniera libera, senza schemi, basandomi soltanto sui ricordi. Poi la trattazione andò sempre più orientandosi verso una visione globale delle nostre tradizioni, in cui la storia della cucina rappresentava un tassello che permetteva di misurare in maniera puntuale l'evoluzione della società. Pian piano sono stato preso da un senso di piacevole ed immediata soddi- sfazione che mi ha fatto superare i dubbi, la pigrizia, l'impreparazione tecnica e mi ha guidato verso la costruzione di un qualcosa di più corposo e di più completo. Non e stato compito facile trattare di una cucina flessibile ed articolata come quella di Gaeta. Non essendo un addetto ai lavori la pubblicazione è stata impo- stata seguendo fondamentalmente l'istinto ed il sentimento e va necessariamente intesa come una divagazione, una passeggiata tra i ricordi, un momento di amore verso la mia città. Non ha pretesa di manuale tecnico, non è materiale per olfatti fini: per costoro vi sono altri testi dove concentrare l'attenzione. Non è stato semplice ad esempio stabilire cosa si debba intendere per pietanze ‘ tipiche, tradizionali di Gaeta, quelle da presentare ai lettori. All'inizio sono stato tentato di considerare come tali soltanto i piatti originari di Gaeta che non presen- tano nessun influsso forestiero. Avrei pero dovuto scartare la ciamfotta, la scapece, il soffritto, i roccocò; sarebbero rimaste soltanto la tiella, la votapiatto, le ciammelle e pochissimo altro. Mi sono convinto ancor di più che ogni espressione della tradizione, come del resto succede anche per il dialetto, deve essere considerata nella globalità delle influenze assimilate. Mi sono soffermato sul genere di pietanze che mangiavano i nostri genitori, nella loro nobile semplicità, quelle che sono state tramandate di generazione in generazione e che ancora oggi assaggio con immenso piacere. Nel selezionare poi le ricette, dovendo scegliere tra una grande varietà di propo- ste, mi sono orientato su quelle che ispirano maggiormente il mio gusto; una de- cisione sicuramente non oggettiva, ma non ho trovato altri criteri particolarmente convincenti. Con lo stesso parametro e stato anche stabilito l'ordine sequenziale della loro presentazione. Le ricette sono state scritte in modo lineare ed essenziale, senza fronzoli; come semplice e stata l'impostazione fotografica: tutta realizzata nelle nostre cucine. Si è dato spazio alle espressioni della cultura locale laddove sono stati fatti riferi» menti alla nostra tradizione culinaria. E' stata dedicata particolare attenzione alle pietanze ormai scomparse dalla nostra tavola... e spesso anche dalla nostra mente. Infine e stata messa in risalto la duttilità dei nostri piatti, che possono adattarsi a rivisitazioni in chiave moderna senza perdere tipicità e squisitezza. Ringrazio gli amici che hanno collaborato al progetto. Con il loro apporto e la loro spiccata competenza professionale hanno reso più completa questa pubblica- zione. Ringrazio Lino (Pasquale) Di Ciaccio per alcuni consigli di carattere storico e chef Antonio Di Cecca per i suggerimenti forniti nella preparazione delle ricette. Ringrazio coloro che hanno messo a disposizione il proprio archivio fotografico. Ringrazio le amiche e gli amici della pagina di FB “Gaeta Culinaria"; senza la loro passione e le loro idee probabilmente questo lavoro non avrebbe avuto inizio. Ringrazio soprattutto le decine e decine di amici con i quali in questi mesi ho scambiato informazioni e consigli, non basterebbe una pagina ad elencarli tutti. E' stato come se il libro venisse scritto piano piano a cento mani, un libro partecipa- to, col contributo di tutti, e questa forma spontanea di coinvolgimento e di affetto e stata forse la sensazione più bella che ho provato in questi mesi. Bruno Di Ciaccio

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